Louise Bourgeois. The Fabric Works

Un sorrisetto beffardo che allude impudente ad un fallo tenuto sotto il braccio, portato con la disinvoltura di un oggetto qualunque: un giornale, una borsetta, una baguette. Quando si pensa a Louise Bourgeois, in molti la ricordano così.
Come nella famosa foto scattata da Robert Mapplethorpe nel 1982, che sicuramente ne sintetizza lo spirito: solitario, [...]

Un sorrisetto beffardo che allude impudente ad un fallo tenuto sotto il braccio, portato con la disinvoltura di un oggetto qualunque: un giornale, una borsetta, una baguette. Quando si pensa a Louise Bourgeois, in molti la ricordano così.

SpidersCome nella famosa foto scattata da Robert Mapplethorpe nel 1982, che sicuramente ne sintetizza lo spirito: solitario, indomito, e delicato allo stesso tempo.

Louise Bourgeois nasce a Parigi nel 1911, in un’epoca in cui in ogni strato sociale la femminilità è considerata incompatibile con la creatività artistica. Un’epoca in cui Alfred Sieglitz, nel presentare la mostra di Georgia O’Keeffe, scriveva: “’Le donne sono solo in grado di creare figli’, dicono gli scienziati. Ma io affermo che sono anche in grado di creare arte, e O’Keeffe ne è la prova”.
Pur quando la fortuna di O’Keeffe resta legata al marito Alfred Sieglitz, noto fotografo e gallerista americano, solitamente risulta che amanti e mariti, nella storia dell’arte, difficilmente abbiano favorito il successo artistico della propria donna; è il caso ad esempio della scultrice Camille Claudel (1864 – 1943), assistente e amante di Auguste Rodin, o ancora quello della pittrice Sonia Terk Delaunay (1885 – 1979). Anche la Bourgeois, moglie di un noto storico dell’arte newyorkese, vede diffondersi il suo nome al di fuori di una ristretta cerchia di estimatori, solo settantenne e dopo la morte del marito, grazie all’interessamento di una giovane curatrice, Deborah Wye, e grazie alla critica d’arte Lucy Lippard.
Nel 1982, il Museum of Modern Art di New York organizza la retrospettiva su quattro decenni della sua produzione artistica che la porrà all’attenzione della critica mondiale. All’epoca Louise ha 71 anni e la stessa prorompente energia creativa che l’ha accompagnata sino alla soglia dei 100 anni, quando il 31 Maggio, si spegne pochi giorni prima dell’inaugurazione della mostra veneziana Louise Bourgeois. The Fabric Works, presso la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.
Dopo l’esordio come pittrice nel ’45, l’artista abbandona la pittura, poiché essa non possiede la forza che ha la scultura nell’esorcizzare i demoni. Per lei l’arte è una forma di garanzia di sanità mentale, e intervistata nel 2007 da Frances Morris, afferma che attraverso il lavoro della scultura trasforma l’odio, il rancore e tutto ciò che la fa brontolare in amore.
Tra alcuni suoi scritti leggiamo: «Tutto il mio lavoro è l’opera di ricostruzione di me stessa… L’unica vera arte che ho praticato tutta la vita è stata l’arte di combattere la depressione, la dipendenza emotiva».
A fornire energia e linfa vitale alla sua creatività, al suo modo di fare scultura, sono i ricordi a cui  torna costantemente. I ricordi di un passato lontano a cui l’artista resta aggrappata nel tentativo di trasformarne il senso. Sono i ricordi legati alla propria tata Sadie, rimasta nella sua famiglia per 10 lunghi anni condividendo il ruolo di tutrice con quello di amante del padre.
Senza nome-1La tensione sessuale presente nel nucleo familiare di Louise Bourgeois, il senso inestinguibile di tradimento, di gelosia, di alienazione, di ansia, di angoscia, che ne sono derivati, a cui negli anni si sono aggiunte le ossessioni erotiche, la solitudine ma anche la vitalità assoluta, sono gli elementi, complessi e multiformi, che affiorano nel suo linguaggio artistico, tessuto organicamente come la tela di un ragno.
Lo stesso ragno, protagonista idiomatico delle sue opere: da maman, il più imponente, madre di tutti i suoi ragni, ideato per la Tubine Hall in occasione dell’apertura della Tate Modern di Londra (2000), ai tanti Spiders, di cui diceva: “… li associo a mia madre, perchè il ragno è un animale che va a intrappolarsi negli angoli, gli angoli gli danno sicurezza. Ma lei non è intrappolata, anzi, cerca di intrappolare gli altri.”
Ed è ancora un grande ragno in acciaio, Crouching Spider (2003), ad introdurci negli spazi del Magazzino del Sale della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, e a guidarci con la sua immagine appuntita e sinistra, che resta indelebile nella nostra mente, tra le apparizioni sconvolgenti di luoghi della memoria di assoluto isolamento: le Celles, spazi circoscritti da recinzioni di ferro, in cui porte e finestre appaiono saldamente serrate, e dentro di essi, visibili ma inaccessibili, caos – oggetti creati dall’artista o a lei appartenuti – e catene – catene per annodare il presente e il futuro alla memoria.

Elvira D’Angelo

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