L’ estate della Haunch of Venison di Londra ha le forme ed i colori del variegato mondo di Joana Vasconcelos: l’artista portoghese arrivata alla ribalta internazionale con la 51° Biennale di Venezia, trasformando 14000 tampax in un straordinario elegante lampadario.
La mostra intitolata I Will Survive, aperta fino al 25 settembre, ci propone creazioni spettacolari, ricche di poeticità e delicatezza, sondando tematiche care all’artista come l’identità nazionale e la femminilità con mezzi di esplorazione che non cessano di sorprenderci. Ripercorrendo le strade del Ready Made e dell’Arte Pop, l’artista infatti ci presenta delle opere costruite con materiali quotidiani (bottoni, strass, tessuti, nastri, pompom, pentole, posate di plastica) che, decontestualizzati e riassemblati, diventano oggetti di grande finezza ed eleganza.
Come nel Nuovo Realismo, gli oggetti integrano vita urbana ed arte.
L’artista infatti afferma che il nostro consumismo ci porta, tanto ad usare senza riflettere su ciò che usiamo, quanto a vivere senza meditare sulla vita che conduciamo “come possiamo trovare il tempo per le cose, a meno che non siano le cose a trovarlo per noi? (…) Quello che cerco di realizzare con le mie opere, (…) è di accendere un processo di riflessione dopo l’iniziale percezione.” Così quando ci avviciniamo incuriositi, scopriamo che quell’affascinante opera è fatta di oggetti che utilizziamo tutti i giorni. Per questo le sue opere sembra che ci riguardino, sono inclusive. E’ una totale democratizzazione dell’arte, un’osmosi tra lo-cult e hi-cult, una riflessione sul consumo e sulla globalizzazione.
Un esempio di questo sono le creazioni che più la caratterizzano e che non potevano mancare in mostra: le ceramiche tipiche portoghesi Bordalo Pinheiro rivestite di merletti e lavori all’uncinetto. Il merletto diventa qui un ingegnoso disegno geometrico, una patina antica, frutto del lavoro femminile, tipico del Portogallo, ma che, come dice l’artista, anche altre culture possono riconoscere come proprie.
Un’opera dal significato enigmatico, il cui fascino cela una riflessione su arte, natura e tecnologia, è il Giardino dell’Eden. Creata specificatamente per la mostra, si tratta di un enorme labirinto colorato di fiori in plastica risplendenti di luce, che rimandano alla bellezza della natura attraverso l’ appariscenza dell’artificiale.
Ancora più ambigua risulta essere Esposas. E’ composta da una fotografia di una donna in bichini nero e da un gruppo di manichini, tre uomini in procinto di allontanarsi trattenuti da tre donne sedute per terra con le gambe divaricate. Il gruppo e la donna della foto sono ricoperti di lacci di plastica neri, che richiamano borchie e pratiche sadomaso. L’ambiguità è messa in rilievo dal titolo in spagnolo dove “esposas” significa sia le spose che le manette: è questa una allusione ai vincoli costrittivi del matrimonio?
In mostra sono anche presenti i lavori come Mary Poppins, Victoria e The Door. Onnipervasive, ibride tra incubo e pagliaccio, queste creature si muovono imprevedibilmente nell’ambiente. Di particolare impatto è la mole nera di Victoria, omaggio a Louise Bourgeois e ispirata allo stile della regina Vittoria.
I Will Survive è senz’altro una mostra rinfrescante che riflette sulla realtà e sulla bellezza congiunta all’artificiosità. L’ingegnosità degli accostamenti ci fa comprendere, però, che non c’è nostalgia di un mondo passato, ma piuttosto è l’espressione della libertà della creazione che il mondo contemporaneo ci può offrire.
Accompagna questa mostra l’esposizione Psychopomps di Polly Morgan: quattro sculture tassidermiche sospese tra metamorfosi e volo.
Livia Dubon Bohlig
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