Un’animazione interattiva, dal sex appeal assolutamente inorganico, introduce il visitatore che sul sito della Fondation Cartier voglia consultare le pagine di presentazione della prima grande mostra parigina dedicata a Mœbius. Fumettista leggendario, inventore di forme straordinarie, Jean Giraud è noto al grande pubblico di appassionati con gli pseudonimi di Gir e Mœbius, riflesso di una duplice, quasi schizofrenica, identità artistica segnata da una netta demarcazione stilistica e da una differente concezione del mondo.
Una doppia identità, che normalmente darebbe luogo ad una insanabile discrasia, e che qui si sviluppa unicamente sul filo del paradosso intellettuale e linguistico. In quanto tale, esso è agevolmente sanato attraverso un meccanismo dal principio analogo a quello sotteso al celebre nastro del matematico August Ferdinand Möbius – di cui Giraud adotta, per l’appunto, il nome – in cui una superficie bidimensionale, osservata in uno spazio tridimensionale euclideo, presenta una sola faccia e un’unica linea di contorno.
Con lo pseudonimo di Gir, Giraud è l’autore di spiccata sensibilità realistica della famosa serie western Blueberry, pubblicata inizialmente dal Magazine Pilote. Ad una torsione del nastro, egli è Mœbius, autore di mondi rarefatti e fantascientifici in cui hanno luogo immaginifiche trasformazioni fisiche sullo sfondo di spazi onirici o astratti e indefiniti. Qui, la realtà si mescola sovente al sogno, dando luogo a interessanti sovrapposizioni narrative, rese, in alcuni casi, attraverso la tecnica della ‘mise en abyme’. Particolare tecnica, il cui significato tradotto dal francese è quello di “collocato nell’infinito” o “collocato nell’abisso”, e che in ambito figurativo indica una rappresentazione all’interno della rappresentazione stessa, così come avviene in ambito cinematografico, a cui si aggiunge un ulteriore significato di sogno nel sogno[1].
Ed è proprio in questa doppia accezione che la tecnica della ‘mise en abyme’ viene usata da Mœbius nella realizzazione dell’animazione 2D per la Fondation Cartier, in cui egli rappresenta sé stesso seduto al suo scrittoio nell’atto di creare il disegno per l’animazione.
Nella zona bassa del filmato, da uno sfondo di colore azzurro intenso, attraverso un rapido zoom e compiendo una rotazione da sinistra verso destra, appare lo scrittoio con l’artista che col capo chino compie ampi gesti con la matita, di cui sentiamo forte l’attrito, su un foglio di carta. Come fumo che si sprigiona all’albeggiare rapido da un comignolo, dal foglio si allunga un tentacolo rosso-arancio che salendo verso l’alto, in maniera graduale, dà forma ad un essere irreale: una navicella spaziale o un grande drago cibernetico?
Un essere ibrido, una creatura a metà strada tra organico e tecnologico: ne sentiamo il battito ritmico del cuore provenire da qualche parte dell’intricata architettura. Un drago/navicella nato da una immaginaria metamorfosi, la cui instabilità continua anche dopo che le sue forme sono giunte al completamento. I congegni meccanici ben visibili sono pronti a scattare al passaggio del puntatore del mouse su di essi.
L’animazione è realizzata con Flash e appare strutturata in due fasi: la prima è un’introduzione, costituita dai personaggi che appaiono nello sfondo azzurro dello “stage”, per il cui sviluppo è stato principalmente utilizzato il metodo detto “passo uno”, che consente la visualizzazione graduale del contenuto grafico; la seconda fase concerne la parte interattiva del filmato: la testa del drago si gira verso il navigatore e al click del mouse la bocca si apre lasciando cadere una piccola sfera; una lingua ruvida, dalle estremità sfrangiate, ad un altro click emette uno schiocco sonoro e visivo; ad altri passaggi del mouse e ad altri click, occhi animaleschi, incastonati tra i grovigli del drago, si aprono e fruste si svolgono giocose e aggressive.
L’interattività, molto suadente anche per il commento sonoro, viene gestita attraverso semplici funzioni che ne controllano gli eventi, in modo alla lunga prevedibile ma pur sempre accattivante.
L’animazione si presenta come una sintesi degli elementi più significativi su cui si articola la mostra MŒBIUS-TRANSE-FORME, incentrata sul tema della metamorfosi.
La metamorfosi è uno tra gli argomenti di maggiore rilievo nella produzione artistica mœbiussiana, dai fumetti alle opere cinematografiche, fino al suo primo film d’animazione 3D, in qualità di regista, proiettato in anteprima esclusiva alla Fondazione Cartier.
La metamorfosi in Mœbius si manifesta come una superfetazione di forme, o come un surplus di forme tentacolari, non finalizzate a sè stesse ma come manifestazione di un mutamento interiore, dovuto a origini traumatiche non riconducibili nell’alveo della ragione.
Mœbius rivela un mondo in cui nulla è stabile come le apparenze lasciano intendere. Se i suoi personaggi in continua traformazione sono la metafora della continua trasformazione a cui è soggetta la materia vivente, le sue creature ibride e le sue creature dall’incerta o dalla doppia identità sessuale, dovute ai suoi interessi per la ricerca genetica, sono la metafora di un processo evolutivo indotto artificiosamente e quindi non esattamente indolore.
Elvira D’Angelo
[1] La ‘mise en abyme’, come ‘sogno nel sogno’, è utilizzata largamente da Jean Cocteau nel film surrealista Orfée (1949). Cocteau, ma più specificatamente il mito di Orfeo, a nostro avviso deve aver contribuito alla formazione di una concezione mœbiussiana sulla tecnica della trance, praticata da leggendari sciamani, come processo creativo. Storicamente, la figura mitologica di Orfeo è stata messa in relazione, da alcuni studiosi come antropologi, storici e iconografi, alla figura dello sciamano, i quali ne hanno sottolineato la sovrapposizione identitaria. Si veda a proposito Le matin des Hommes-Dieux : Étude sur le chamanisme grec di MICHAËL MARTIN, in cui dall’analisi dei tratti caratterizzanti il mito di Orfeo, viene dimostrata l’appartenenza del personaggio di Orfeo a quella di altri sciamani come Efesto e Prometeo. Nel corso della sua trattazione Martin, definisce le qualità sciamaniche di Orfeo come un’acquisizione post-mortem, in virtù delle quali le facoltà creative del poeta-cantore, limitate alla sola testa divenuta immortale, risultano potenziate.
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Sede: Fondation Cartier, 261 boulevard Raspail – Paris (France)
Date: 12 Ottobre 2010 – 13 Marzo 2011
Orari: Tutti i giorni tranne il Lunedì; dalle ore 11.00 alle ore 20.00, il Martedì fino alle ore 22.00. Chiuso il 25 Dicembre e il 1 Gennaio
Autori: Mœbius (Jean Giraud)
Biglietti: Intero 8.50 euro, ridotto 5.5 euro (studenti, meno di 25 anni, carta Senior, Amis des Musées, demandeurs d’emploi, Maison des artistes); gratuito: Laissez-passer, Cercle des amis, meno di 10 anni, ICOM
Info: www.fondation.cartier.com | Tel. +33 (0)1 42 18 56 50
Genere: Personale, Arte Contemporanea, Fumetto, Animazione 3D
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Tag:Animazione 3D, Arte digitale, Fumetto
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