Alla Fondazione Mirò la storia si fa elemento di continuità tra diverse generazioni di artisti, dal dopoguerra alla pop art. La produzione artistica si può sempre intendere come barometro del clima sociale e culturale del momento storico in cui si genera, l’opera d’arte porta in sè una qualità, implicita e necessaria, che è la capacità di farsi strumento atto a captare i cambiamenti e le convulsioni prodotti dalla dinamica sociale, riflettendola in un registro costituito per immagini.
In questa direzione si muove la Fondazione Mirò di Barcellona che, in un progetto comune con il British Council, istituzione da sempre interessata a promuovere l’arte britannica, propone un’esposizione che vuole essere la storia illustrata delle emozioni di quegli artisti che si sono fatti testimoni della realtà britannica, compresa tra gli anni del dopoguerra e la decade degli anni sessanta.
Attraverso più di ottanta opere provenienti da collezioni pubbliche e private, tra le quali l’Arts Council, la Tate e la Pallant Gallery di Chichester, Andrew Dempsey e Richard Riley, che hanno curato la mostra, ci fanno conoscere lo stato d’animo di un paese che, impaziente di lasciarsi alle spalle le ristrettezze economiche, i campi di concentramento e la costante minaccia della bomba atomica, sperimenterà una nuova fede nel futuro e l’entusiasmo per il cambiamento.
Indicativa è la scelta del titolo dell’esposizione: Let Us Face the Future, che è lo slogan con cui il partito laburista determinò la sconfitta di Winston Churcill nella campagna elettorale del 1945, anno in cui inizia a prendere forma il welfare state sotto il governo di Clement Attlee, che metterà in pratica una serie di misure tese a garantire il benessere socio-economico.
L’esposizione si apre indagando il sentimento di smarrimento e angoscia di fronte all’assurdità del conflitto bellico, di cui sono pregne le opere di artisti come Henry Moore, Barbara Hepworth, Francis Bacon e Lucian Freud.
La reazione degli artisti del dopoguerra passa anche attraverso un rinnovamento dei generi tradizionali, il paesaggio e la figura umana si caricano ora di nuovi significati e di una luce livida, come quella delle scene urbane di Leon Kossoff e Frank Auerbach, di una Londra dai connotati irreversibilmente cambiati dalle bombe e dagli edifici di nuova costruzione.
Ma la vita continua e anche la società dimostra una volontà di ricostruzione che, cavalcando l’onda di ottimismo nella prospettiva di un futuro migliore, contagia la scena artistica con nuovi miti e nuove consuetudini.
Un’inedita libertà formale lascia spazio alla creatività di artisti come Eduardo Paolozzi, sempre più interessato alla cultura popolare o Niegel Henderson, che guarda con partecipazione ai nuovi mezzi di espressione. La televisione e la pubblicità incominciano a influenzare un’arte che non si prende più sul serio.
Si fa strada una nuova sensibilità artistica ricettiva alle esperienze vibranti degli anni sessanta, quando il Pop si converte in stile nella tendenza a riprodurre la vita moderna in una forma moderna, attitudine espressa appieno da David Hockney e Howard Hodking che danno vita a dimensioni private dai colori da poster.
Sono gli anni di un’arte leggera come la plastica utilizzata da Phillip King e William Tucker, a volte seriale come i materiali industriali usati da Anthony Caro.
Let Us Face the Future è un’esposizione marcatamente storiografica ma anche un bel racconto sull’ispirazione, una dimostrazione di come la vita emotiva si nutra e si rigeneri nelle circostanze del vissuto.
Eleonora Scherini
Tag:Arte Contemporanea, Fotografia, Scultura
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