John Phillips. Sense and In-sensibility

«…i fotografi possono essere insensibili mentre scattano le loro foto…l’uomo che aveva alzato il coperchio distolse lo sguardo. Gli chiesi di richiudere la vasca mentre preparavo la mia macchina fotografica. Sapevo che le foto che stavo per fare non sarebbero mai state pubblicate; ma dovevano essere fatte perchè rimanessero come documento.
Feci alzare ancora una [...]

«…i fotografi possono essere insensibili mentre scattano le loro foto…l’uomo che aveva alzato il coperchio distolse lo sguardo. Gli chiesi di richiudere la vasca mentre preparavo la mia macchina fotografica. Sapevo che le foto che stavo per fare non sarebbero mai state pubblicate; ma dovevano essere fatte perchè rimanessero come documento.

John Phillips, Verona. San Giacomo della Tomba, 1959. © John e Annamaria Phillips Foundation. Immagine tratta dal Catlogo della mostra "John Phillips. Fotografo", edito da Silvana Editoriale, Milano 2010.

Feci alzare ancora una volta all’uomo il coperchio: distogliendo anch’io lo sguardo, scattai una foto»1.  John Phillips è inviato di guerra della rivista Life e nel 1945 si trova a Danzica, in Cecoslovacchia, da dove testimonia il genocidio nazista. Diversi anni dopo, nel 1959, trascorre in Italia una breve parentesi che lo vedrà testimoniare dalle rive del Lago di Garda un’altra inattesa realtà: la vita dentro e fuori le mura dell’ex-manicomio di Verona. Le fotografie scattate durante quell’estate rimangono inedite fino a quando il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona in seguito ad un lavoro di ricerca e di ´diplomazia internazionale` le rende pubbliche omaggiandole nella mostra da poco conclusa John Phillips fotografo. Retrospettiva e reportage inedito dal San Giacomo di Verona. Una selezione di 31 scatti datati tra il 1937 e il 1962 informavano lo spettattore del mestiere di Phillips di inviato di guerra in Europa e di giramondo sempre sull’attenti. Mentre circa 50 vintage preparati per una pubblicazione mai avvenuta, e altre 25 immagini selezionate direttamente dai negativi, scattate nell’ex-manicomio di San Giacomo della Tomba, rappresentavano il fulcro della mostra.
Ora che la mostra ha chiuso e la distanza temporale ha raffreddato gli entusiasmi del primo incontro, è possibile indagare l’opera di John Phillips oltrepassando i limiti della categoria fotogiornalistica, alla ricerca di un pensiero poetico che ne sottenda la pratica in modo sistematico.
Il mezzo fotografico si affaccia molto presto nella vita di Phillips. Nato nel 1914 nella Grande Cabilia, in Algeria, trascorre l’infanzia ad Algeri, dove la passione per la fotografia a colori del padre si «espanse da un capo all’altro dell’appartamento»2. Quando John non è con la balia, è al Petit Lycée, dove deve fare i conti col trovarsi ad essere «…unico ragazzino inglese della scuola…una minoranza tra le minoranze»3.

John Phillips, Eboli, Italia. Venditore di scarpe, 1944. © John e Annamaria Phillips Foundation. Immagine tratta dal Catlogo della mostra "John Phillips. Fotografo", edito da Silvana Editoriale, Milano 2010.

La passione paterna nel 1925 conduce la famiglia Phillips prima a Parigi e due anni dopo a Nizza, dove il giovane Phillips diventa apprendista di Monsieur René Pansier, fotografo ufficiale della città. Da Pansier impara «altrettanto sulla natura umana che sulla fotografia» e «scoprii ben presto che quest’ultima può mettere in rilievo l’osceno  e registrarlo»4. Il 1927 è anche l’anno che vede l’uscita sul mercato della Leica. Macchina fotografica di piccolo formato, capace di scattare senza l’ingombrante strumento del flash, è mezzo dalla resa ideale in condizioni di illuminazione minima. Questa maneggevole ´macchinetta` non solo sarà la più amata dai fotoreporter della prima ora, ma anche la fotocamera che Phillips non tradirà mai.
Nel 1934 la famiglia Phillips decide di fare ritorno in Inghilterra, paese natio di Phillips senior e il 13 novembre 1936 sarà per John Phillips «il giorno in cui tutto cambiò»5. In questa data gli vengono aperte le porte dell’appena nata redazione inglese di Life, costola fotogiornalistica della nota rivista statunitense Time, avviandolo all’età di ventun’anni alla grande avventura nel fotogiornalismo. L’attività reportagistica e la naturale inclinazione empatica per l’umanità senza operare mai discriminazione alcuna, lo accampagneranno lungo tutta la vita, determinandone la specificità stilistica.
La ´tensione mondana` e  l’´istante decisivo` sono i due ingredienti comuni alla ricerca fotogiornalistica e alla poetica di John Phillips. La ´tensione mondana` è la spinta ad indagare l’umanità scorrendone i canali più bassi, nutrendosi della ´matericità` piuttosto che degli aspetti immagignifici del reale. E’ un’inclinazione forte e trasversale, che non risparmia le contemporanee ricerce sul piano pittorico di Jean Dubuffet e Jean Fautrier che in Europa, in quegli anni, inaugurano la stagione Informale e della squadra di artisti che danno vita, oltreoceano, all’Espressionismo Astratto. Nell’intuizione di Cesare Zavattini questo atteggiamento significa ´pedinare il vicino` per stabilire un contatto diretto con l’ambiente. Per Phillips il risultato dello scatto fotografico è l’occasione per interrogare e mettere in discussione questa relazione. L’immagine fotografica in Phillips diviene il luogo dove uomo e mondo si confrontano.

John Phillips, Vienna. L'arrivo delle truppe tedesche, 1938. © John e Annamaria Phillips Foundation. Immagine tratta dal Catlogo della mostra "John Phillips. Fotografo", edito da Silvana Editoriale, Milano 2010.

Gli ´istanti decisivi` sono quelli nei quali la realtà viene immortalata dal fotografo, vestiti i panni del cacciatore. L’espressione nasce per definire la pratica di Henri Cartier-Bresson, può essere  tuttavia estesa al lavoro di tutta la prima compagine di reporter6. Il congelamento fotografico del fluire della vita nelle sue manifestazioni più eloquenti fu possibile grazie alla messa sul mercato della Leica, macchina capace di sfornare immagini che nulla condividono con le messe in scena delle fotografie fatte in studio. Le immagini della Leica sono immagini che che nascono nella velocità dell’azione e non conoscono il comfort di un ambiente di lavoro ben organizzato. L’immediatezza narrativa e il solido impianto formale colpiscono il cuore e la testa del fruitore al di là di sofisticati giochi di luci ed ombre, e nel caso di alcuni, al di là della stessa messa a fuoco. Se in tutto il genere del fotoreportage viene privilegiato il rapporto dell’uomo con l’ambiente circostante, solo le immagini di Phillips hanno lo speciale potere di diventare lo spazio dove ripensare questo tipo di relazione. Sono immagini ´sintetiche`, micro-narrazioni costruite formalmente su griglie cartesiane di ascisse ed ordinate, dove la pulizia formale si apre ad una comunicazione minima ma di sicuro impatto. Pochi elementi sintattici ottengono un grande risultato informativo.
Altro specifico poetico è l’´occhio insensibile`. Phillips partecipa a quell’idea che vede lo strumento fotografico come mezzo che quasi ´naturalmente` potenzia non solo la vista, ma è in grado di amplificare tutti i sensi, in quella tensione, già citatta, per gli aspetti più nascosti della realtà. Fotografo e mezzo fotografico diventano così un’entità unica e ad essere impressionato dalla luce, non è più la pellicola fotografica ma l’occhio stesso dell’operatore, divenuto, appunto,´sensibile`. Phillips carica questa modalità operativa di una parallela insensibilità. Come una forza alla quale è impossibile opporsi, l’insensibilità di Phillips è l’intenzione etica che lo costringe a non indietreggiare di fronte agli aspetti più tragici della vita. All’insensibilità accompagna la protezza di registrazione, dettata, non dalla ricerca dell’immagine scandalosa, bensì dal dovere di documentazione, funzione del resto primaria della fotografia.
L’ultima specificità di Phillips è l’abitutine nell’adottare uno sguardo non giudicante. Nelle sue immagini non si troverà mai traccia di retorica moralistica o educativa. Anche negli scatti più rigorosi, nei risvolti più tetri del passato immortalato, all’osservatore sarà sempre data la possibilità di aprirsi ad una dimensione leggera ed ironica. John Phillips reagisce dunque sia agli stimoli dell’indagine fotogiornalistica, genere nato grazie anche al suo stesso contributo, sia a scelte ideali e formali personali: questi due componenti connotano lo stile artistico di Phillips. Il risultato sono immagini rigorose, precise, raffinate ed ironiche, tanto emotivamente coinvolgenti e quanto forti nello spronare ad adottare nuovi punti di vista su capitoli che si pensavano chiusi. Proprio quello che ci si aspetta da un vero gentleman inglese.

Carole Tansella


1 M. Azzano (a cura di), John Phillips: un obiettivo sulla storia, Udine, Art &, 1988, p.87.

2 Ibidem p.7.

3 Ibidem p.7.

4 Ibidem p.7.

5 Ibidem p.8.

6 H. Cartier-Bresson, L’immaginario dal vero, Milano, Abscondita, 2005, p.23.

Si ringrazia la casa editrice Silvana Editoriale per avere autorizzato la pubblicazione delle immagni

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