Staged Photography / Paci Arte, Brescia

La Galleria Paci Arte di Brescia propone una collettiva di artisti di diversa provenienza e generazione, accomunati dall’idea che la fotografia sia molto di più di un semplice sguardo sul mondo. Per ognuno di questi fotografi essa è innanzitutto la possibilità di creare un loro ‘pezzo’ di mondo.

La Galleria Paci Arte di Brescia propone una collettiva di artisti di diversa provenienza e generazione, accomunati dall’idea che la fotografia sia molto di più di un semplice sguardo sul mondo. Per ognuno di questi fotografi essa è innanzitutto la possibilità di creare un loro ‘pezzo’ di mondo.

Mario Cravo Neto, “Man with bird tears”. Limited edition, 46x46 cm. Courtesy Paci Arte, Brescia

Staged Photography è una mostra di fotografia, come appare chiaro dal titolo, non si tratta però soltanto di una rassegna di immagini catturate dall’obiettivo bensì di una panoramica, puntuale e approfondita, di alcuni linguaggi, più e meno recenti, che partono dalla fotografia o vi approdano, disegnando percorsi assolutamente unici e paralleli. Unici, poiché tutti questi artisti creano dei mondi autarchici; paralleli, poiché le immagini che costruiscono si reggono su un loro sistema di visione, tangente al reale ma che non aderisce mai appieno ad esso. Si tratta essenzialmente d’inscenare delle situazioni surreali, ironiche ed improbabili, quanto malinconiche e suggestive, e poi reificarle con la macchina fotografica, giocando sul filo di un’ambiguità di linguaggio che travalica i confini della fotografia, contaminata dalla pittura e dal cinema.
La pittura entra in gioco prepotentemente nelle opere della coppia di artisti francesi Clark & Pougnaud, di cui sono esposti, nella prima stanza, due lavori che dichiarano i rispettivi debiti verso l’americano Edward Hopper e il danese Wilhelm Hammershøi. Nel loro caso gli stages sono ricreati virtualmente, come si può comprendere fin da subito in mostra, nell’intelligente scelta espositiva di affiancare alle fotografie gli oggetti che si vedono all’interno degli ambienti ritratti: un vaso di fiori e un mobiletto in miniatura, divenuti nelle loro opere magicamente realistici nelle proporzioni, rispetto alle donne fotografate. Uno straniamento che accresce nello spettatore, portando con sé però anche la consapevolezza che queste fotografie rappresentano non la realtà ma qualcosa che le va vicino, come alcune tra le infinite possibilità d’immaginazione offerte al nostro sguardo.

Robert Leslie Krims, “Dumping Leaves Nothing” (from “Idiosyncratic Pictures”, 1980), Buffalo, New York, 1979. Vintage, cm 40x50. Courtesy Paci Arte, Brescia

La stessa brillante intuizione espositiva è ripetuta per le fotografie dell’americana Sandy Skoglund: accanto ad esse un manichino ricoperto di gommapiuma e altri materiali sintetici, che ritroviamo nel ruolo di bambino smarrito nel magico bosco di Fresh Hybrid, insieme ad altri interpreti, alcuni sono reali esseri umani, che l’artista si diverte a ‘modellare’ come fossero anch’essi manichini nelle sue mani; vicino poi una delle foglie in bronzo, dipinte d’azzurro in A breeze at work, ed inoltre un video in cui la si vede in azione, sul set di uno dei suoi lavori. Nel caso di Sandy Skoglund la realtà ricreata è assolutamente concreta, le sue grandi installazioni diventano infine delle fotografie che cristallizzano in un’immagine il risultato di lunghissimi cicli di creazione (la lavorazione di ogni opera dura per anni) di mondi prima inesistenti, ora fisicamente realizzati e verosimilmente immaginabili.
L’idea della mostra è dunque questa: proporre una serie di fotografi per cui la visione finale deve essere il risultato di un processo creativo che nasce nella loro mente, senza perdere però il contatto con la realtà, mediato dalla fotografia, quasi essa costituisse una garanzia fondamentale, una sorta di valore aggiunto e imprescindibile al potere della loro immaginazione.

Teun Hocks, "Untitled", 2008. Oil on toned gelatin silver print, 126 x 164 cm. Courtesy Paci Arte, Brescia

Accanto perciò alle più esplicite manipolazioni del vero, di cui si fanno portavoce Clark & Pougnaud, Sandy Skoglund, e anche l’olandese Teun Hocks, che parte dai suoi disegni per realizzare ironici autoritratti, in cui si immagina immerso in atmosfere surreali, mentre tenta azioni impossibili; ebbene, accanto a tali prove troviamo in mostra anche fotografie più ‘tradizionali’, per esempio quelle del brasiliano Mario Cravo Neto, recentemente scomparso.
Le sue fotografie in bianco e nero sono visioni poetiche che associano la figura umana al mondo animale, come si vede in Man with bird tears, esposta anch’essa nella prima stanza; nelle sue immagini egli realizza una sorta di combinazioni scultoree, che sono delle vere e proprie ‘messe in scena’ di forme e contrasti chiaroscurali, orchestrate dall’artista fotografo.
Proseguendo, altri sono gli artisti esposti, alcuni di loro più graffianti, come Leslie Robert Krims, che utilizza la fotografia quale mezzo di dissacrazione del presente e diventa il regista di scene impietose che sembrano una carrellata di Vizi senza Virtù della società americana del suo tempo, una specie di moderna Allegoria senza speranza.
Qualunque sia il fine espressivo, ognuno di questi artisti porta avanti una concezione della fotografia come mezzo d’espressione capace di ancorare l’immaginazione alla realtà: il fotografo diventa perciò pittore, poiché si riserva quel margine di libertà rispetto al vero che la pittura, come creazione di un’immagine dal nulla, concede. Il rischio é quello di cadere in una libertà assoluta, che essi non cercano: la realtà rimane sempre la materia prima cui attingere, si fanno allora piuttosto registi, poiché inquadrano in un frame i protagonisti delle loro scene, come attori su un palcoscenico, siano loro stessi, una modella o chiunque altro entri in scena.

Milena Cordioli

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Date: 28 Maggio – 20 Settembre 2011

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