Cercate un barometro dell’arte contemporanea o una risposta alla domanda “che cosa è arte”? Non andate a dOCUMENTA (13)! L’eccezionale evento bramato e atteso da cinque anni dal mondo dell’arte internazionale, aperto dal 9 Giugno al 16 Settembre a Kassel, non dà risposte.
Definire è chiarire, ma anche demarcare. È un recinto nell’infinito spazio del processo creativo. E così Carol Christov-Bakargiev, direttrice artistica di dOCUMENTA (13), nega. Nega di voler fare una mostra d’arte, nega di avere un concetto base, nega di voler leggere condizioni storiche attraverso l’arte, nega persino di voler limitare il campo del sapere agli esseri umani. Alla conferenza stampa viene accusata di essere confusa. Lei rispondere “Penso che essere confusi sia una condizione molto sana in cui essere, con-fondere è molto bello”.
Documenta a differenza di altre rassegne d’arte non nasce dal trionfo del mondo coloniale e dalle sue certezze, ma nasce da una ferita, dal momento traumatico del dopo guerra in una città vicina al confine tra la Germania dell’Ovest e quella dell’Est. Per questo non offre risposte, ma pone domande. Ri/apre nuove e vecchie visioni del mondo.
È un evento che celebra la complessità e la lentezza. Si effettua ogni 5 anni e per questo può cogliere i silenzi e vuoti nell’orazione dell’arte contemporanea. È una apologia del “qui e ora”, all’essere e all’esperienza contro l’ubiquità dell’individuo e la moltiplicazione frenetica dell’informazione attraverso smart phones e altre nuove tecnologie. Per questo quattro possibili stati in cui una persona, e più in particolare un artista o pensatore, può ritrovarsi sono il tema dell’evento: alla ribalta; sotto assedio; ottimista e in ritirata. Le quattro condizioni sono legate a quattro siti in cui dOCUMENTA è fisicamente e concettualmente articolata: Kassel, Kabul, Alessandria/Cairo, Banff.
Produzioni emblematiche in questo senso sono quelle di Mario García Torres, il film “Tea” (2012) e l’opera “Have you ever seen the Snow” (2010) esposta nel cuore di dOCUMENTA, il Fridericianum. Ambedue sono abientate a Kabul, luogo assediato, ma anche sotto i riflettori dei media. I progetti sono incentrati sulla vicenda dell’Hotel One fondato da un esponente dell’arte povera, Alighiero Boetti, e dove l’artista visse dal 1971-77 producendo la famosa Mappa (1971) che doveva esporre a dOCUMENTA 5. Garcia va alla ricerca delle tracce di questo luogo di memorie e una volta ritrovato si impegna nella rivitalizzazione del suo passato. La vicenda dei due artisti si intreccia legando passato e presente, Kassel con Kabul. Il ciclo di distruzione e guarigione diventa piu’ articolato sollevando questioni sul senso di luogo e di tempo. In questa riflessione diventiamo la somma di tutto quello che ci ha preceduto e di quello che creeremo. La domanda fondamentale che l’artista messicano ci pone è dove siamo quando viviamo una memoria? Qual è la distanza che separa luoghi lontani?
L’esperienza è anche al centro dell’opera di Song Dong “Doing Nothing Garden”. Carol Christov-Bakargiev spiega che l’opera è un fallimento dal punto di vista mediatico. Si tratta di una montagna verde che si staglia sulla boscaglia del Parco Karlsaue (Kassel). Verde su verde, un disastro per le pagine di Facebook! L’opera acquista il suo pieno significato nell’esperienza che il visitatore vive, non nella sua espressione ‘altrove’, come le pagine web. La scultura incorpora anche un altro concetto di dOCUMENTA (13): la creazione e conoscenza non antropocentrica. Infatti l’enorme scultura è costituita dall’accumulo di sei metri di immondizia su cui crescono erba e fiori. Si tratta di un organismo vivente che crea senza clamore e che mostra come nelle giuste condizioni anche il fare niente può dare origine a qualcosa.
Alle spalle di questa monumentale scultura immerse nel bosco del Parco Karlsaue vi aspettano piccole casette che come nelle favole dei Grimm, vi raccontano micro-storie di vita intima, come “MON CHERI : A Self-Portrait as a Scrapped Shed (2012) di Shinro Ohtake, o vi riveleranno storie più vaste come “The History of Europe” (2012) di Jimmie Durham. Un trionfo della complessità è “Untille” (2011-12) Pierre Huyghe. Si tratta di un insieme di elementi naturali e articifiali con nessuna connessione apparente. Con questa opera Huyghe apre una nuova era: il post-umano. Spiegando la sua opera l’artista dice “Ci sono ritmi, automatismi e incidenti, invisibili e continui e trasformazioni, movimenti e processi, ma non c’è coreografia.”
Molte altre sono le opere che meritano una visita e citarle tutte è impossibile, così anche noi come la direttrice neghiamo, neghiamo una rassegna di un evento che semplicemente necessita essere vissuto nei sui molteplici luoghi fisici e concettuali.
Livia Dubon Bohlig
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fino al 16.9.2012
Tag:Fotografia, Installazioni, Installazioni sonore, performance
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