Il progetto espositivo A Host of Angels di Richard Hamilton, proposto dalla Fondazione Bevilacqua La Masa per la Biennale di Venezia del 2007. Alcuni interessanti spunti per una riflessione sui legami dell’artista inglese con l’opera di Duchamp e con i principi delle geometrie n-dimensionali…
Biennale di Venezia 2007: tra le sale di Palazzetto Tito, si dipana l’ordito di un policromo tessuto in cui finzione e concretezza sono ascrivibili ad una anfibologica matrice percettiva, innescata dall’interazione tra lo spazio virtuale delle opere e lo spazio espositivo.
Lo spazio pittorico sconfina dal proprio ambito, proseguendo e occupando attraverso la presenza di alcuni oggetti, materializzazione di quelli ritratti, l’ambiente percorribile dal visitatore. Quest’ultimo si trova ad interagire fisicamente e gestalticamente con l’oggetto artistico mettendolo a fuoco in un orizzonte prospettico ove razionalizzazione e oggettivazione del mondo sono ridotti a codici destrutturati, in favore dell’emergere di un’idea in cui la geometria euclidea, convenzione linguistica arbitraria [1] alla stregua della langue, lascia il posto a più complesse geometrie iperboliche.
Situati all’interno dello stesso spazio proiettivo, An annunciation (a) (1994-2004) e An annunciation (b) (2005-06), formano un tutto unico con l’ambiente espositivo, il quale è parte integrante dell’opera. Qui, cogliamo la coesistenza di molteplici dimensioni spazio-temporali, interdipendenti dalla soggettività dello spettatore, in quanto determinate da un sistema di rappresentazione basato sul principio della ricorsione. In un quadro di medie dimensioni (An annunciation (a)), sono raffigurate una donna vicino a una finestra che riceve una telefonata. La donna è seduta nuda su una sedia accanto a un tavolino con sopra una bajour accesa, posti ad angolo tra due pareti perpendicolari. Questo quadro, con questa scena, si trova, dipinto, all’interno di un altro quadro di dimensioni maggiori (An annunciation (b)). Qui, esso, è raffigurato appeso a quella parete della Fondazione su cui è realmente esposto.
Secondo quanto è stato detto sopra, questi due quadri sono inseriti all’interno di un altro grande quadro ideale, ma non troppo, costituito dallo spazio espositivo in cui si trova un’installazione composta dagli oggetti raffigurati nei quadri: la sedia e il tavolino in legno con la bajour accesa, ad angolo tra le pareti, nel cui incavo la lampada diffonde con eguale bagliore, del suo speculare pittorico, il medesimo effetto di chiaro-scuri, avvolgendo nella stessa atmosfera i due quadri.
Questo innesto ricorsivo di un’opera su un’altra richiama alcuni procedimenti compositivi riscontrabili già in Marcel Duchamp, di cui costituiscono l’architettura portante di un percorso artistico caratterizzato da cicli autoreferenziali, oltre che da una ricerca continua e approfondita sulla quarta dimensione.
Stando alle interessanti e convincenti argomentazioni di Roberto Giunti [2], in tutto il pensiero di Duchamp è possibile rintracciare il persistere di tematiche ricorsive, nate come “iterazione di uno stesso procedimento seguendo accuratamente una stessa regola”. Così come avviene, seguendo gli esperimenti di Giunti, nei Trois stoppages étalon (1913), in cui tale procedura operativa è finalizzata alla rimozione dall’assioma euclideo dell’assunto di unicità della retta passante per due punti.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il matematico e fisico francese Henri Poincaré [3], attraverso alcune analisi specifiche, mette in discussione il valore dogmatico della scienza. Per lui, la scienza è sapere critico da mettere costantemente in discussione. Nel suo Sui fondamenti della geometria, leggiamo “La geometria non è una scienza sperimentale; l’esperienza è per noi solo un’occasione di riflettere sulle idee geometriche che preesistono in noi […]. La nostra scelta non ci è dunque imposta dall’esperienza. È semplicemente guidata dall’esperienza. Ma resta libera; noi sceglieremo questa geometria piuttosto che quella non perché è più vera, ma perché è più comoda […].”
Concordemente a quanto espresso da Poincaré, Duchamp, nei Trois stoppages étalon, sembra essere alla ricerca di un linguaggio che sia più vicino alla verità dell’esperienza.
Del resto è fatto assodato quanto le ricerche di Poincarè [4] sulle geometrie non euclidee abbiano appassionato Duchamp, fornendogli stimoli per superare la dimensione pittorica tradizionale e riesaminare la natura della prospettiva tridimensionale [5].
Fatto nuovo e poco esplorato è il metodo da lui utilizzato, e il valore che esso assume nella sua produzione, latente nella riduzione in scala di altre sue opere, di cui la Boîte en valise del 1941 ne è l’esempio più completo.
Forse Duchamp aveva intuito, in qualche misura, la presenza del fenomeno ricorsivo in natura, che oggi sappiamo collegato alla geometria dei frattali [6].
Col termine frattale si intende “descrivere le strutture invarianti per dilatazione di scala. Sono strutture che si caratterizzano per la loro autosimilarità. Ognuna delle loro parti, non importa di che dimensioni, è simile al tutto” [7].
Hamilton, ha studiato la Scatola Verde (Boîte en valise) più di ogni altra opera di Duchamp, e come dice Angela Vettese [8] ne ha decifrato ogni particolare, ne ha ripreso alcuni topoi, restituendoli nelle sue opere attraverso un lavoro di ricodifica, in cui il ricorso ad un apparato scenografico e figurativo digitale è ascrivibile alla possibilità di connotare poieticamente la realtà rendendone le complessità percettive, conoscitive e speculative, esprimibili attraverso geometrie non convenzionali, iperboliche, ma anche frattali, ovvero ricorsive.
L’impressione di una ripresa banale del motivo iconografico del nudo che scende le scale di Duchamp, in Descending nude di Hamilton, è dato dalla riproduzione, attraverso un fotomontaggio, di un effetto che ricorda quello fotodinamico del maestro.
Il quadro, raffigura lo specchio disegnato da Gaudì, collocato nella casa in Spagna di Hamilton, su cui si riflettono tre nudi di una stessa figura femminile nell’atto di scendere i gradini di una scala. Le figure, sono posizionate su tre livelli differenti della scala, restituendo in una visione simultanea la successione temporale di una sequenza fotografica della durata di un minuto [9].
Calata in una dimensione surreale, un’altra figura si stagliata in primo piano, in piedi, davanti allo specchio. Si direbbe che questa quarta figura, in quel riflesso, stia osservando se stessa mentre scende le scale.
Tuttavia, il suo corpo è posizionato lateralmente rispetto alla superficie specchiante, mostrando uno scarto prospettico che allerta la nostra attenzione. Ma, allora, cosa riflette lo specchio, e lei cosa sta osservando?
Secondo noi, in quello strambo riflesso, si cela l’oscuro concetto espresso da Duchamp in Nu descendant un escalier n. 2, ed è questo che la donna sta osservando, non se stessa.
In Nu descendant un escalier n. 2, in quella successione cinematica di un corpo sospeso in pose consecutive, si può osservare una forma che si ripete ricorsivamente quasi all’infinito. Che Duchamp voglia affermare un principio di ricorsione? Sarebbe plausibilmente in accordo con quanto mostrano studi recenti [10], volti a sfatare molti luoghi divenuti comuni circa l’opera di Duchamp.
Per esempio, ne L’arte contemporanea, Da Cézanne alle nuove tendenze, di Renato Barilli, leggiamo che Duchamp condanna l’esteriorità dell’effetto fotodinamico, limitandosi a “[…] sperimentare questa tecnica nelle due versioni del nudo che scende le scale (1911 e 1912), ma poi non vi ritorna più […]”. “E’ quindi una pista laterale, sbagliata, appena imboccata e subito abbandonata […]”.
Sennonché, nelle Effemeridi di Gough-Cooper & Caumont [11], si legge che il 23 Luglio del 1918 Duchamp regala all’amica Carrie Stettheimer una miniatura a matita e inchiostro del Nu descendant un escalier n. 2. Questa vicenda è a riprova della persistenza delle tematiche ricorsive nel pensiero di Duchamp, qui rafforzata dall’idea di ripetizione in scatola e su scala ridotta, presente anche in Tu m’ a cui Duchamp stava lavorando nello stesso periodo.
Tuttavia, per comprendere pienamente il meccanismo messo in atto da Hamilton in Descending nude, dobbiamo soffermarci su altre due opere di Duchamp: il già citato Tu m’, e Jeune homme triste dans un train (1911).
Queste due opere hanno in comune la presenza di speciali elementi ricorsivi: in Tu m’, la cappelliera, nell’angolo destro del dipinto, sta osservando, secondo Gi Lonardini, l’ombra della propria ombra [12]; analogamente in Descending nude di Hamilton, la donna in primo piano sta osservando il proprio riflesso nello specchio.
Jeune homme triste dans un train, è un autoritratto, che Duchamp descrive così: “Prima di tutto c’è l’idea del movimento del treno, e quindi quella del giovane triste che si muove nel corridoio; per cui si hanno due movimenti paralleli corrispondenti.” In questo caso, la ricorsività è data dall’idea del moto nel moto.
Ma ciò che preme, qui, osservare è una significativa volontà di Duchamp volta a sottolineare la relazione fisica stabilita tra il movimento dei due corpi. Questa considerazione ci suggerisce, che in quest’opera Duchamp, voglia affermare un nuovo principio: quello dell’impossibilità fisica di osservare il moto assoluto, già trattato da Poincarè e chiamato, inizialmente, “principio del moto relativo”, e successivamente, “Principio di Relatività”.
L’impossibilità fisica di osservare il moto assoluto, sembra essere l’idea principale su cui si fonda Descending nude di Hamilton, ed è espressa attraverso il collegamento tra più elementi visivi, tra cui è scatenante quello costituito dallo scarto prospettico della donna che guarda allo specchio quella scena surreale.
Tale idea è rafforzata dal fatto che a pochi metri di distanza da Descending nude, sulla stessa parete, Hamilton, ha appeso il suo specchio disegnato da Gaudì, così che il visitatore al suo passaggio vi si possa specchiare, compiendo lo stesso gesto compiuto, nel quadro, dalla figura femminile in primo piano. Da ciò scaturisce l’idea che le due opere (Descending nude e l’installazione dello specchio) debbano essere considerate come un tutto unico, di cui ne è parte anche lo spettatore, introducendo l’importante elemento della circolarità nella iterazione, presente anche in Jeune homme triste dans un train di Duchamp.
Elvira D’Angelo
[1] JULES HENRY POINCARÉ, La science et l’hypothès, Flammarion, Paris 1902.
[2] ROBERTO GIUNTI, R. rO. S. E. Sel. A. Vy, in «Tout-Fait, The Marcel Duchamp studies online journal», Gennaio 2002.
[3] HENRY POINCARÉ, Des fondements de la géométrie, E.Chiron éditeur 1921.
[4] “Come Jarry prima di lui, anche Duchamp trovò qualcosa di deliziosamente sovversivo nelle nuove geometrie, con i loro cambiamenti di così tante verità stabilite.”, in LINDA DALRYMPLE HENDERSON, The Fourth Dimension and Non-Euclidean Geometry in Modern Art, Princeton University Press, Princeton 1983.
[5] Le teorie sulle geometrie non euclidee o iperboliche di Poincarè e quelle sulla relatività di Einstein, modificarono, il rapporto tra arte e scienza, tra arte e pensiero filosofico, tracciando nuovi sentieri per l’arte.
[6] Il nome frattale e la scoperta in natura di tali geometrie si deve al matematico francese Benoit Mandelbrot; all’inizio degli anni Settanta realizza le prime figure frattali, basate, appunto, sul principio della ricorsione o dell’iterazione di uno stesso algoritmo per decine di migliaia di volte. Qualunque parte della figura si prenda in considerazione, dal punto di vista morfologico, prescindendo dalle dimensioni, risulta simile al tutto, principio peraltro riconducibile a quello di emergenza: caratteristica tra le più importanti degli esseri viventi.
[7] ANDREA APARO, La geometria dei fulmini, La natura descritta con il nuovo sistema matematico dei frattali, in «L’ordine e il caos, Attualità del concetto di entropia», Giunti – Dossier Scienza n. 23, 1988.
[8] ANGELA VETTESE, Gli angeli sognano macchine celibi?, dal catalogo della mostra A Host of Angels, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia 2007.
[9] RICHARD HAMILTON, Una storia breve…, dal catalogo della mostra A Host of Angels, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia 2007.
[10] Si veda: ROBERTO GIUNTI, ibidem; RHONDA ROLAND SHEARER, Marcel Duchamp’s Impossible Bed and Other ‘Not’ Readymade Objects: A Possible Route of Influence from Art to Science, 1997 ( in http://www.duchamp.org/ImpossibleBed/PartI/); STEPHEN JAY GOULD, The Substantial Ghost: Towards a General Exegesis of Duchamp’s Artful Wordplays, in «Tout-Fait, The Marcel Duchamp studies online journal», Maggio 2000.
[11] JENNIFER GOUGH-COOPER, JACQUES CAUMONT, Effemeridi su e intorno a Marcel Duchamp e Rrose Sélavy, trad. it. di P. Billingsley, Bompiani, Bologna 1993.
[12] La scoperta si deve a Gi Lonardini, in ROBERTO GIUNTI, ibidem.
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